Elisa Zadi: la mostra “Floralia” a cura di Mariateresa Zagone e Roberta Guarnera alla Foro G Gallery a Ganzirri-Messina

FLORALIA

Elisa Zadi

Venerdì 21 marzo, alle ore 18:00, presso la Foro G gallery in Via Lago Grande, 43/B a Ganzirri-Messina, inaugura Floralia, la prima mostra personale dell’artista aretina Elisa Zadi, vincitrice dell’open call “Mavare”, a Messina.

I Floralia, che diventano per Elisa pretesto per indagare la connessione fra la natura e la donna, erano giochi in onore di Flora, dea romana e italica, protettrice della fioritura, dei cereali, dei vigneti e degli alberi da frutto. Pretesto perché la visione dell’arte di Elisa e, forse, la sua stessa idea di mondo, appare, sì, panica ma certamente più estatica e contemplativa. Una risemantizzazione contemporanea dell’idea di bellezza ficiniana o, meglio, botticelliana, filtrata attraverso l’Humanitas e individuata nel creato tutto, nella Madre Natura fatta di piante, fiori, animali, corpi femminili e maschili che stimola Amore in chi ad essa si approccia in maniera semplice e che stupisce. Chiaro quindi come risulti avere una base comune con la weltanschauung pagana ma che giunge ad un risultato più incantato evidenziato da una palette tenue e luminosissima.

Curatela: Roberta Guarnera, Mariateresa Zagone
Grafiche e allestimenti: Roberta Guarnera
Testo critico: Mariateresa Zagone

Dal 21/03 al 04/04

“Andare verso la natura con onestà di cuore, non rifiutando niente, non scegliendo niente, non disprezzando niente, credendo a tutte le cose buone e giuste ed esultando sempre nella verità.”

(John Ruskin)

Nel giorno dell’equinozio di primavera, sulle sponde dolci del lago e sulla lingua di terra dello Stretto, entrambe dimora di ninfe, naiadi e sirene, con circa un mese di anticipo rispetto alle antiche feste romane che ne danno il titolo, alla Foro G Gallery, si inaugura una mostra fresca e piena di vita.

I Floralia, che diventano per Elisa pretesto per indagare la connessione fra la natura e la donna, erano giochi in onore di Flora, dea romana e italica, protettrice della fioritura, dei cereali, dei vigneti e degli alberi da frutto, caratterizzati da cerimonie sfrenate e orgiastiche di tema pastorale con profusione di bevute e scherzi uniti a rappresentazioni teatrali e a giochi di caccia. Le donne erano vestite con colori sgargianti, gli uomini decoravano il capo con ghirlande di fiori, le attrici di mimo si spogliavano dietro richiesta degli spettatori facendo la nudatio mimarum mentre semi di fave e di lupini venivano sparsi in offerta propiziatoria a Flora, considerata anche dea della Fertilità. La vitalità orgiastica dei Floralia sottolineava, come sempre nel mondo precristiano, il legame tra sessualità umana e fertilità vegetale, il rito sacro stimolava la sessualità metafora della forza creatrice della Natura.

Avevamo iniziato questo breve testo indicando in Floralia il pretesto perché, in effetti, la visione dell’arte di Elisa e, forse, la sua stessa idea di mondo, appare, sì, panica ma certamente più estatica e contemplativa. Una risemantizzazione contemporanea dell’idea di bellezza ficiniana o, meglio, botticelliana, filtrata attraverso l’Humanitas e individuata nel creato tutto, nella Madre Natura fatta di piante, fiori, animali, corpi femminili e maschili che stimola Amore in chi ad essa si approccia in maniera semplice e che stupisce. Chiaro quindi come risulti avere una base comune con la weltanschauung pagana ma che giunge ad un risultato più incantato evidenziato da una palette tenue e luminosissima.

Risemantizzare nell’oggi un pensiero così raffinato vuol dire però spostare l’uomo ai margini, vuol dire percepire il limite, tutto contemporaneo, nel cogliere il manifestarsi miracoloso di tale e tanta bellezza. Come in quel Rinascimento di cui Elisa conserva parte del patrimonio genetico, la sua pittura è un percorso onesto e solitario verso la conoscenza di sé e del mondo, il perseguimento di una perfezione ideale che trascende la transitorietà e che la incanta ma che, al contempo, le sfugge. È un invito a mettersi in gioco, a riscoprirsi e a rigenerarsi, ma anche ad analizzare il tema dell’identità, fra apparenza e sostanza, nella mutevolezza del tempo e nella dinamica delle vicissitudini del mondo. Nelle sue opere, figure di donna (e di uomini) appena accennate si sovrappongono in trasparenze luminose a lilium e canne, a dragontee e magnolie giocate su palette zuccherose che alternano i caldi rosa ai toni freddi degli azzurri e che occupano tutto il campo visivo in un’esuberanza decorativa che sembra strizzare l’occhio ad alcuni interni vittoriani di derivazione Arts and Craft e che, come questi ultimi, sono sostenuti da un afflato etico che mette al centro la riconnessione con la Natura o con la poetica, contigua, del preraffaellismo inglese che invita a guardare ad essa con sguardo limpido e a lasciarsi guidare.

A ben guardare la lettura di questa mostra si articola su due fuochi, su due tipi di “amore”, il secondo dei quali, forse più transitorio o forse emanazione dello stesso principio assoluto: l’amore fra esseri della stessa specie e, segnatamente, l’amore di coppia la cui narrazione, per sagome in trasparenza, si dipana ed interconnette con quello verso le altre specie. Pretesto, si diceva, legittimazione ad approfondire, se mai ce ne fosse stato bisogno, la vita e la forma delle piante la cui scelta non è mai casuale. Piante mediche e curative, piante dal valore simbolico, piante cui l’artista è particolarmente legata vengono analizzate con l’accuratezza del disegno botanico nella trasposizione grafica delle singole specificità alcune delle quali sono apertamente e volutamente ispirate alle tavole di Maria Sybilla Merian, illustratrice e naturalista tedesca che operò a cavallo dei secoli XVII e XVIII. Attenzione, quindi, al femminile mai con l’idea accesa della rivendicazione quanto con l’atteggiamento di ascolto di un tipo di sensibilità diversa che ci restituisce una visione del mondo diversa.

La mostra comunica, parla non solo al senso della vista con il quale ogni spettatore non faticherà di certo a percepire il senso continuo e circolare della vita, della sua fioritura. Opera centrale è l’installazione che staccandosi dalla parete ci viene incontro nella sua tridimensionalità, la sua veste sulla quale fiorisce Primavera (come su quella di Flora della Primavera più famosa al mondo, quella degli Uffizi di Botticelli) che diviene archetipo di abito di qualcosa di più universale di un corpo, simulacro dell’intero corpo della terra, della madre, di colei che genera, accompagnata da gigli dai cui rizomi in terracotta si dipartono radici di fili di seta e foglie di frammenti di tela dipinta.

Mariateresa Zagone