mostra di Patrizia Bonardi a Messina al Teatro Vittorio Emanuele

Il Teatro Vittorio Emanuele di Messina inaugura “Germinale” di Patrizia Bonardi, mostra d’arte contemporanea nel Foyer

Il Vittorio Emanuele inaugura la stagione primaverile delle esposizioni di arte visiva.

Sabato 17 maggio alle ore 17,30 vernissage di “Germinale” di Patrizia Bonardi con la partecipazione degli studenti dell’Istituto d’arte La Farina – Basile alla performance dell’artista.

L’esposizione durerà sino al 15 giugno 2025 e sarà visitabile dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 18.00 e la domenica dalle 10.00 alle 12,30.

MESSINA (17 maggio 2025) – Il Teatro Vittorio Emanuele inaugura la nuova stagione dedicata all’arte contemporanea nel Foyer e curata da Solveig Cogliani, esperta per le arti visive.

Con la “preghiera laica” di Patrizia Bonardi come la critica Mariateresa Zagone definisce l’esperienza di annodamento collettivo di bendaggi medici e la sua “arte partecipata”, il teatro si fa dialogo, al suo interno e con l’esterno, sui grandi temi socio-politici e sulle problematiche ambientali.

L’opera di Patrizia è al medesimo tempo potente nel significato e delicata nel significante.

Quasi tutte le opere di Patrizia Bonardi presentano cera d’api su legno e/o su bendaggi medici.

Patrizia Bonardi è un’artista visiva e vive a Bergamo; è fondatrice dello spazio no-profit di ricerca tra arte contemporanea e sociologia, BACS a Leffe. È anche direttrice artistica, presidente e socia dell’associazione Artists.Sociologists.

Con questo primo evento del 2025 si intende proseguire il percorso espositivo di arte contemporanea avviato nella precedente stagione con i Maestri della collezione della Fondazione Orestiadi e l’esposizione del David di Alessandro Calizza, attraverso l’opera di artisti di rilievo nazionale ed internazionale, che con le loro azioni sono capaci di evidenziare luci e ombre, paure e speranze proprie della nostra contemporaneità, così come, evidenziano il Presidente Orazio Miloro ed il Sovrintendente Gianfranco Scoglio, negli spettacoli teatrali che caratterizzeranno la stagione ed in particolare “Il Colore del sole” che andrà in scena a maggio 2025 suggerito dalle tele del Caravaggio.

Il Global Risks Report 2024 del World Economic Forum 2024 segnala come macro fattori più rilevanti di rischio del nostro presente il peggioramento delle due grandi crisi che caratterizzano questo periodo storico, il cambiamento climatico e le guerre, in particolare in Ucraina e Medio oriente; dall’altra una amplificazione delle tensioni che accompagnano il cambiamento tecnologico e le incertezze legate alle sperequazioni economiche. Ambiente e Pace sono, dunque, le direttrici su cui si muove questa prima proposta espositiva per il 2025.

E quale migliore forma di comunicazione e di stimolo per la riflessione se non quella costituita dall’arte, che da sempre costituisce mezzo per esprimere idee, bellezza, per descrivere una situazione storica, politica o sociale e per svolgere opera di informazione e di sensibilizzazione.

I Signori giornalisti sono invitati a prendere parte.

Si ringrazia Confagricoltura donne Sicilia e l’Azienda agricola Kibbò per la degustazione di miele in occasione del Vernissage.

GERMINALE

Patrizia Bonardi

“…Digli che, se fosse un bambino, non dovrebbe tormentare i suoi sogni, il bambino non

sarebbe mai dovuto nascere da una madre, ma dalla terra. Quel bambino è un seme, ricordaglielo, il seme si trova sottoterra, è qualcosa di ostinato, più profondo di un tunnel.”

Mai Serhan

Un’arte partecipata, relazionale, un’azione performativa che dà l’avvio ad una mostra decisamente inedita per Messina, che esplora il confine “sottile” fra partecipazione ed obnubilamento della coscienza, fra vacua libertà dell’individuo ottenebrato e capacità di prendere parte all’umanità e al suo stare nel mondo. La preghiera laica di Patrizia Bonardi, un annodamento collettivo di bendaggi medici come pietosissimi grani di un rosario sanguinante con pochi misteri della gioia e troppi del dolore è, in primis, per i bimbi di Gaza e di tutte le guerre del mondo.

Ma Germinale è anche una immensa installazione multipla ed organica, fatta di cellule, opere che pendono, si arrampicano ordinate ai pannelli, invadono lo spazio da camminare e da esperire, è il germinare di forme liriche e leggere da cui siamo esteticamente coinvolti e, parimenti, eticamente interrogati. Una mostra “politica” il cui filo conduttore si snoda lungo una profonda riflessione sul senso di comunità, sui sogni, sulle utopie dell’unica umanità che siamo, sulle relazioni di un homo sapiens che ha tradito il senso collettivo, il senso di appartenenza alla vita tutta, dall’altro, all’aria, all’acqua. Patrizia ci invita con gentilezza a tratteggiare i contorni di un mondo possibile, a riscoprire lo spazio dell’umanità riposizionando lo sguardo sull’altro da noi e, nell’infausto paradosso che è il nostro presente di diritti, vecchi e nuovi, apparentemente sanciti ai quali corrispondono sproporzionate sofferenze in aumento, di povertà, di privazione di libertà, di sradicamento, Germinale reca in sé l’idea di rinascita, di semi gonfi di pioggia e di vita e diventa metafora di una rifioritura etica attraverso un linguaggio espressivo che chiama in causa ogni spettatore con un coinvolgimento materiale ed estetico.

Il titolo, che riprende il nome del settimo mese (marzo-aprile) del calendario repubblicano rivoluzionario francese con il significato di “mese in cui germogliano le piante” trova epifania in Oasi per i bambini, installazione baricentro della prima sala che declina la leggerezza nella pianta lussureggiante di un’oasi, appunto, intreccio di bende imbevute di cera d’api d’acacia, la più chiara, che cresce moltiplicando vita, come per mitosi, a cui, in contrappunto, corrispondono le fonti di bende annodate in memoria delle decine di migliaia di bambini morti a Gaza, accanto alle quali trovano spazio, con simile significato, le cascate e i fiori di loto progettati per la performance. Oltrepassando il salone delle Erme, oltre i cerchi/gioco, dolorosa installazione che rende più tagliente del vetro l’idea dell’infanzia spezzata, a sinistra Mare Bandiera e Relitto mare, a destra le Nasse, sottolineano l’impermanenza, l’instabilità di masse umane in fuga per mare, trappole e carcasse.

Un grande mare in cui annegano la coscienza ed il dolore, immensità di acqua fatta da singole onde cui allude, appunto, il singolare plurale di Mare bandiera.

Le installazioni di Patrizia sono frutto di una ricerca da sempre orientata ad indagare la dimensione sociale dell’essere umano e la sua relazione con l’etica individuale; la sua responsabilità rispetto alle storture ed alle ingiustizie è una parabola tra la luce e l’ombra dell’esistenza, fra le vibrazioni profonde e nascoste che legano indissolubilmente gli uomini alla natura. È un’arte del silenzio la sua, una pratica che, pur non sottraendosi all’urgenza contingente dell’attualità, si fa assoluta attraverso un linguaggio essenziale che non prescinde dall’immagine ma la distorce in senso lirico in una costante evoluzione formale: Patrizia sperimenta tecniche e materiali, declina in armonia lieve la relazione tra spazio e opera e tra quest’ultima e l’osservatore immergendo il pubblico in un’atmosfera sospesa e bianca di luce. L’arte rende visibile senza urlare l’ingiustizia della guerra, di ogni guerra in cui “Dio non è MAI con noi”, la precarietà di ogni vita nata solo per un caso dalla parte “sbagliata” e la necessità di entrare nell’azione, di non distogliere lo sguardo, di essere consapevoli come condizione fondamentale dell’esistere, di sciogliere quei ‘nodi’ che ostacolano la capacità di prendere parte. Nel suo lavoro gli studi tonali e l’equilibrio compositivo si fondono con una forte sperimentazione dei materiali, dai tessuti alle cere dal legno ai metalli, e con una ricerca concettuale tendente all’armonia con la natura e con gli altri esseri viventi. C’è un bagliore particolare che illumina questa possibilità, la meraviglia della com-passione in cui Patrizia ci tuffa con quel bianchissimo riverbero di luce prende la nostra esistenza carica di filtri e la libera dalle bende dell’ignavia, ci fa respirare l’estasi della leggerezza e, consentitemi la retorica, della speranza. Il discorso va oltre la tecnica e i riferimenti, è la poetica dell’umanità, l’eroica normalità di lasciarsi coinvolgere fuori dal proprio “particulare”.

Arte morbida e soffice ma solo nella materia, portatrice sanissima di spirito, pura e sacra, che ci invita a guardare e toccare quelle bende che curano, quelle cere che avvolgono, a scoprire la luce del nostro lato buio, delle nostre cicatrici, dei nostri lividi, perché è esattamente questa luce che ci rende la bellezza che siamo.

Mariateresa Zagone