Mangano Arte a Cremona ospita “La distanza necessaria”, un progetto fotografico di Giuseppe Gradella
Giuseppe Gradella. La distanza necessaria
Un’indagine visiva sul confine tra sguardo e identità
Dal 28 giugno al 26 settembre 2025, gli spazi di Mangano Arte a Cremona ospitano La distanza necessaria, un progetto fotografico di Giuseppe Gradella che riflette sulla relazione tra fotografo e soggetto, tra presenza e assenza, tra il vedere e l’essere visti. Un’indagine profonda e raffinata sul senso dello sguardo e sulla sua capacità di creare – o disfare – intimità.
Il testo critico che accompagna la mostra è firmato da Walter Borghisani, autore che da tempo indaga i linguaggi visivi contemporanei e le loro implicazioni emotive e simboliche.
La distanza in fotografia è un concetto affascinante che va ben oltre la semplice misurazione tra la fotocamera e il soggetto. Essa intreccia la tecnica con la filosofia, influenzando profondamente la narrazione visiva e la nostra percezione del mondo.
Tecnicamente, la distanza in fotografia si manifesta attraverso la lunghezza focale dell’obiettivo e l’intervallo che separa la fotocamera dal soggetto.
Filosoficamente, la distanza in fotografia assume significati più articolati.
Lo spazio scelto dal fotografo, ad esempio, può suggerire un approccio più oggettivo e distaccato o più intimo e coinvolto. Un ritratto ravvicinato, infatti, può trasmettere vulnerabilità, mentre una veduta panoramica può suggerire solitudine.
La distanza può, inoltre, rappresentare la relazione tra il fotografo e il soggetto, o tra il soggetto e il suo ambiente. Ma anche riflettere l’intenzione del fotografo, il suo punto di vista sul mondo e su ciò che sta fotografando.
A livello etico, poi, l’intervallo tra il fotografo ed il suo soggetto assume una dimensione cruciale. E la sua scelta può comunicare rispetto e curiosità o, al contrario, invadenza.
L’impostazione del rapporto spaziale di una scena può veicolare l’interpretazione dell’osservatore, guidando la sua attenzione e le sue emozioni.
Ed emotiva è proprio quella distanza che si crea, secondo Roland Barthes, attraverso un elemento che sfugge alla codifica, che non è immediatamente intenzionale, e da cui il punctum emerge.
In sintesi, la distanza in fotografia è un elemento compositivo potente e dai molteplici aspetti. Non è solo una questione tecnica di misurazione, ma un atto creativo e concettuale che modella il significato dell’immagine, influenzandone la percezione e la comprensione.
Giuseppe Gradella è un fotografo italiano con uno stile distintivo e riconoscibile, che spazia dal ritratto alla fotografia di moda e fine art, con incursioni anche nell’architettura.
Una delle caratteristiche più evidenti della sua visione è la creazione di atmosfere quasi sospese, oniriche. Le sue immagini spesso evocano la pittura, in particolare quella rinascimentale e fiamminga, sia per la composizione che per l’uso della luce e delle ombre. C’è una sensazione di sospensione, spaziale e temporale, nelle sue opere.
Nei suoi ritratti, Gradella si dimostra capace di catturare un senso di intimità e introspezione. I suoi soggetti appaiono spesso pensierosi, distaccati dal mondo esterno, quasi in un dialogo interiore. C’è la ricerca di un’emozione sottile, di uno stato d’animo più che di un’espressione plateale.
Le sue fotografie sono caratterizzate da una composizione attenta ed equilibrata, con una cura per i dettagli e per l’armonia degli elementi all’interno dell’inquadratura: una precisione formale da cui traspare la sua formazione in architettura.
Dal punto di vista tecnico, le sue fotografie denotano padronanza di luce e colore. Spesso utilizza una palette cromatica desaturata o con toni tenui, per accentuare l’atmosfera eterea delle sue scene.
Un elemento ricorrente e distintivo nel suo lavoro è l’utilizzo di superfici d’acqua o di filtri che creano distorsioni, riflessi e textures particolari. Questo contribuisce all’effetto sognante e aggiunge un elemento di mistero e astrazione alle immagini.
Ed è proprio l’inserimento di un “filtro”, tra fotografo e soggetto, a sottendere quella distanza che è la cifra stilistica dell’opera di Giuseppe Gradella. A definire il suo meccanismo relazionale, che si approccia attraverso la dichiarazione di due ambienti stagni. L’isolamento del punto di contatto assume la funzione di un diaframma, per cui l’apparente distacco dei suoi soggetti può essere interpretato come un invito all’introspezione, a guardare oltre la superficie e a connettersi con un mondo interiore.
“La distanza necessaria” vuole stimolare, tramite l’approccio dell’artista alla fotografia di architettura e di ritratto, una riflessione sulla propria percezione dello spazio, sull’intimità, sulla monumentalità e sulle dinamiche di osservazione.
E si propone di esplorare, attraverso il tema della distanza (che è universale e relazionale), l’opera del fotografo alla ricerca di nuove chiavi di lettura e interpretazioni.
Mi piace pensare che la scelta di mantenere, a livello espositivo, una “sufficiente lontananza” tra le opere riesca ad avvicinare il fruitore alle distanze di Giuseppe Gradella.
Testo: Walter Borghisani (www.walterborghisani.com – walter.borghisani@gmail.com)
Nel lavoro di Giuseppe Gradella emerge con forza una costante: l’uso di schermi traslucidi – gocce d’acqua, lastre di vetro, pellicola, foglie scheletrate – che velano il soggetto e modulano la luce, creando un’atmosfera sospesa tra presenza e assenza. Nei ritratti femminili, il rosso dei fili e del rossetto si staglia con nettezza sul fondo cenere, suggerendo una femminilità al tempo stesso vibrante e vulnerabile. Lo sguardo, parzialmente celato, diventa allora indizio di emozioni inespresse, rimandando a un teatro interiore in cui l’identità si dilata e si fa mistero.
Nelle fotografie in bianco e nero dedicati ai ritratti maschili, il contrasto tra il volto e le increspature dell’acqua o i segni sul vetro si fa canto poetico: i profili sfumati e l’oscurità insistente sembrano custodire memorie sommerse, restituendo un senso di nostalgia e di tempo sospeso.
In un sorprendente passaggio simbolico, i soggetti riappaiono dietro una maglia di foglie bianche, come se emergessero da un altrove primordiale. Qui la leggerezza delle trame vegetali conferisce al ritratto un’aura di rinascita, intessendo un dialogo sottile tra la natura e l’anima.
Gli ultimi scatti – un paesaggio nebbioso con case in acqua e una natura morta in pennellate sfocate – ampliano la riflessione sul tempo e sulla vanità: Gradella trasforma il quotidiano in un rito visivo, dove ogni immagine è un invito a contemplare l’effimero e a riscoprire, dietro la patina dell’apparenza, la fragile bellezza della memoria.
Giacomo Trovato
Presidente dell’Associazione Altro Spazio D’arte