BiCromie – Mostra bipersonale di Leonardo Santoli e Gianfranco Sergio – MILLENIUM GALLERY – BOLOGNA

BiCromie
Mostra bipersonale di Leonardo Santoli e Gianfranco Sergio
A cura di Edoardo Di Mauro
Opening sabato 9 marzo ore 18.00
dal 9 al 30 marzo 2024
MILLENIUM GALLERY, Via Riva di Reno 77/A – BOLOGNA
Info: 393 7003498 – 329 1124910


Si inaugura sabato 9 marzo alle ore 18.00, la mostra bipersonale BiCromie di Leonardo Santoli e Gianfranco Sergio a cura di Edoardo Di Mauro, presso la MILLENIUM GALLERY di Bologna. Di Santoli saranno in mostra dodici opere Alfabeti Arcaici della serie “Arcaica”, della fine degli anni Ottanta. Di Sergio saranno in mostra dodici opere recenti Viste dall’alto del 2023.
Accompagna la mostra un catalogo con le opere della mostra riprodotte e con testo critico di Edoardo Di Mauro. Alcuni esratti: … La premessa di taglio storico vale ad inquadrare il lavoro di due protagonisti della scena artistica contemporanea come Leonardo Santoli e Gianfranco Sergio, che ho il piacere di presentare presso la Galleria Millenium di Bologna, spazio che ha raccolto, con coerenza e professionalità, l’eredità di strutture chiuse ormai da tempo, testimoniando il lavoro della generazione degli anni Ottanta e Novanta. Seguo il lavoro di Santoli e Sergio da molto tempo, ed ho presentato il loro lavoro in varie occasioni, compresa una mostra a due da loro allestita a Torino giusto un decennio fa…
…In mostra a Bologna, per creare una integrazione con le opere figurative che presenterà Gianfranco Sergio, Santoli espone una ampia campionatura di tele improntate ad una dimensione di astrazione arcaica. In questi lavori l’artista presenta una serie di segni e simboli ispirati alla dimensione storica precedente la formazione delle prime civiltà organizzate dove, citando Walter Benjamin, l’arte si esprimeva nella dimensione della magia, con lo scopo di esorcizzare la paura della morte… La dimensione premoderna e quella contemporanea presentano notevoli affinità, essendo entrambe anti-naturaliste ed aniconiche e caratterizzate da un alfabeto simbolico, come quello adoperato dai primi writers operanti nell’underground metropolitano.
…A Bologna Sergio, confermando la sua eclettica creatività, presenta l’ultima serie di lavori, che si pongono in coerenza con le sue principali linee di ricerca.Nell’ambito della sua vivificante azione di citazione delle esperienze del Novecento, Sergio giunge a toccare l’ambito di quello stile, sviluppatosi come reazione alle punte estreme delle avanguardie storiche definito, con efficace ossimoro, Realismo Magico, dove la visione realistica del
mondo veniva contraddetta dalla fissità ed immobilità dei soggetti umani rappresentati, tale da ottenere un effetto straniante e misterioso… L’artista si pone anch’egli, come Santoli, nella scia della tradizione italiana, proponendo uno stile figurativo sorprendente e pirotecnico

Dopo il 1975. esauritasi la propositività dell’ultima avanguardia novecentesca, quel Concettuale che, nella sua versione più estrema, quella tautologica aveva, mostrando i procedimenti mentali costitutivi dell’opera nella nudità della loro proiezione mentale, azzerato sostanzialmente la manualità della creazione, assistiamo, in ambito italiano ed internazionale, ad una ripresa in forze di valori manuali e decorativi, in una clima di citazione, tipico dei “fine secolo” e di generale ritorno alla pittura, dopo che le premesse di questo mutamento di rotta già si erano manifestati, nei primi anni ’70, con il racconto minimale sviluppato con la fotografia tipico della “Narrative art”.

In Italia si alimentò un vivace ed aggressivo dibattito critico attorno a queste vicende, che vide tra i principali protagonisti Renato Barilli, teorico di una delle correnti più interessanti di quel periodo, i “Nuovi -Nuovi”, tra i quali vennero aggregati, tra gli altri, autori come Salvo, Luigi Ontani e Luigi Mainolfi.

I Nuovi -Nuovi furono un agglomerato ampio ed eclettico, in cui si privilegiavano valori simbolici e decorativi, e si prestava attenzione a quell’inevitabile rapporto con la tecnologia e i media che sarà caratteristica della generazione successiva, emersa dopo il 1984.

Altra componente fu la Transavanguardia, teorizzata da Achille Bonito Oliva nella scia del suo importante saggio “L’ideologia del traditore”, dove attuava un azzeccato tra il Manierismo post-rinascimentale e lo stile post-moderno successivo alle avanguardie novecentesche che, con il supporto di importanti gallerie, riviste ed istituzioni museali, conobbe un rapido ed eclatante successo, anche in termini di quotazioni di mercato.

Questa corrente, dove figuravano tra i nomi di maggior spicco Cucchi, Clemente, Paladino, Chia e De Maria, fu la versione, all’epoca, più improntata al ritorno di un pittoricismo acceso, viscerale e neoespressionista, indice di una nuova soggettività in grado di esprimersi al di fuori di dogmi preconcetti in un clima decisamente post ideologico, successivo alla stagione che dal ‘68 approderà al ’77.

Tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90 viene alla luce una generazione artistica di grande interesse impegnata in una ridefinizione dei generi e degli stili e in un rapporto di confronto serrato con la nuova società post-moderna della tecnologia e dello spettacolo.

Queste caratteristiche sfociano nel decennio successivo in un clima di generalizzato eclettismo stilistico, con punte di attenzione verso la rivisitazione dei linguaggi concettuali e pop ed un’apertura significativa nei confronti dell’uso della fotografia e delle tecnologie video e digitali.

La premessa di taglio storico vale ad inquadrare il lavoro di due protagonisti della scena artistica contemporanea come Leonardo Santoli e Gianfranco Sergio, che ho il piacere di presentare presso la Galleria Millenium di Bologna, spazio che ha raccolto, con coerenza e professionalità, l’eredità di strutture chiuse ormai da tempo, testimoniando il lavoro della generazione degli anni Ottanta e Novanta.

Seguo il lavoro di Santoli e Sergio da molto tempo, ed ho presentato il loro lavoro in varie occasioni, compresa una mostra a due da loro allestita a Torino giusto un decennio fa.

Leonardo Santoli appare alla ribalta dell’arte italiana negli anni Ottanta, caratterizzati da una decisa virata verso il clima della post-modernità.

La formazione dell’artista è influenzata dalla linea concettuale e comportamentista degli anni Settanta.

Santoli non si limita, però, come fanno molti, ad una leziosa opera di ricalco di schemi precedenti, ma ribalta i termini della questione collocandosi nella scia di autori atipici come Boetti, Mondino ed Ontani, quest’ultimo in particolare per la linea espressiva sviluppata nelle sculture e nell’ampio repertorio oggettuale.

Il percorso di Santoli si articola in alcuni precisi filoni di ricerca iconografica.

Nella parte finale degli anni Ottanta abbiamo la serie “Arcaica”, caratterizzata da composizioni aniconiche risolte con la modalità di una astrazione concreta, sul modello del MAC anni Cinquanta. In seguito, l’autore sviluppa le “Mappe”, cartografie bizzarre e variopinte che si ispirano all’incerta ricerca dei confini del mondo tipica dei tempi antichi, per passare a quelle dei “Personaggi” e degli “Animali”, dove il registro dell’autore opera un corto circuito tra passato e presente, tra repertorio pop e mitologia, con un effetto finale di indubbia coinvolgente originalità.

Questa ricerca costante rivolta verso gli stereotipi culturali, abilmente condotti nella dimensione globale del presente, è evidente nella serie degli “Arlecchini”. In queste composizioni la tradizionale maschera italiana, ubiqua ed irrequieta, calza i panni di svariati personaggi calati in pose di quotidianità, di balletto e di sfida, sullo sfondo di intensi e fitti patterns cromatici.

In mostra a Bologna, per creare una integrazione con le opere figurative che presenterà Gianfranco Sergio, Santoli espone una ampia campionatura di tele improntate ad una dimensione di astrazione arcaica.

In questi lavori l’artista presenta una serie di segni e simboli ispirati alla dimensione storica precedente la formazione delle prime civiltà organizzate dove, citando Walter Benjamin, l’arte si esprimeva nella dimensione della magia, con lo scopo di esorcizzare la paura della morte.

La dimensione premoderna e quella contemporanea presentano notevoli affinità, essendo entrambe anti-naturaliste ed aniconiche e caratterizzate da un alfabeto simbolico, come quello adoperato dai primi writers operanti nell’underground metropolitano.

Gianfranco Sergio è un autore che esordisce giovanissimo nei primi anni Ottanta, presentandosi alla ribalta con una importante personale presso la storica galleria Rinaldo Rotta di Genova.

I lavori di quegli anni si pongono in sintonia più che con gli autori della generazione a lui coeva, con cui Sergio gioca di anticipo, con la fase del post concettuale emerso a partire dalla fine degli anni Settanta. Sono evidenti analogie con autori appartenenti al gruppo dei Nuovi – Nuovi.

Si tratta di opere che oscillano da una campitura larga di matrice astratto – organicista, ad altre vivacizzate da un dinamico puntinismo che evoca i pixel dell’immagine digitale. La fase successiva degli anni Novanta, dove avviene il mio incontro con l’autore, è quella dello svilupparsi di un ampio repertorio oggettuale.

L’artista racchiude frammenti di memoria all’interno di contenitori che assumono le vesti di scrigni del vissuto personale ed al pari si cimenta nella creazione di macchine e velivoli che potremmo definire di “archeologia futuribile”.

Dopo questa fondamentale ricerca tridimensionale Sergio decide che è ora di ritornare nell’ambito, in fondo prediletto, della tela.

L’artista si pone anch’egli, come Santoli, nella scia della tradizione italiana, proponendo uno stile figurativo sorprendente e pirotecnico, dove elementi tratti dalla sperimentazione del Secondo Futurismo, Balla, Depero l’aeropittura, si congelano talvolta in interni e paesaggi di maggiore volumetria formale e sospensione metafisica, sempre contraddistinti da una giocosa e non banale ironia, in grado di parlare del presente adoperando lo strumento dell’allegoria.

A Bologna Sergio, confermando la sua eclettica creatività, presenta l’ultima serie di lavori, che si pongono in coerenza con le sue principali linee di ricerca.

Nell’ambito della sua vivificante azione di citazione delle esperienze del Novecento, Sergio giunge a toccare l’ambito di quello stile, sviluppatosi come reazione alle punte estreme delle avanguardie storiche definito, con efficace ossimoro, Realismo Magico, dove la visione realistica del mondo veniva contraddetta dalla fissità ed immobilità dei soggetti umani rappresentati, tale da ottenere un effetto straniante e misterioso.

Tale effetto simboleggiava l’estraneità del singolo a quella che era la civiltà di massa di allora, dove ognuno doveva calarsi una maschera per recitare un ruolo.

Con minore attenzione al dettaglio, Gianfranco Sergio rappresenta vari attori del nostro presente intenti in atti quotidiani come passeggiare, attraversare la strada, compiere azioni di lavoro manuale.

Questi soggetti, calati in scenari resi all’essenziale, caratterizzati dalla visione curvilinea tipica dell’artista, denunciano il limite principale del nostro tempo, l’anonimato perso nell’ossessione della comunicazione, ed infatti non si scorgono i volti, celati da oggetti o posti lateralmente o di spalle, ma solo l’oggettiva presenza fisica dei corpi.

Edoardo Di Mauro, febbraio 2024