Elyas Alavi – That I Could Fear a Door: storie di case e di vento – MUSMA – Matera

Elyas Alavi

That I Could Fear a Door: storie di case e di vento

13 giugno – 14 settembre 2024
MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea

via San Giacomo (Sasso Caveoso)

Matera

Inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 19.00

Performance: 13 giugno, ore 19,30

Giovedì 13 giugno il MUSMA presenta That I Could Fear a Door: storie di case e di vento, la prima personale in Italia dell’artista hazara Elyas Alavi, curata dal collettivo Exo Art Lab e da Simona Spinella.

Il titolo That I Could Fear a Door” (“che io possa temere una porta“) è un verso estratto dalla poesia di Emily Dickinson Years had been from Home (Io – Anni – ero stata – via da Casa). Una “risata di legno” – scrive la poetessa – è l’unico suono che può riecheggiare in un petto reso cavo dagli anni lontano da casa. Quando la propria casa diventa estranea, quando ci si sente in essa come – aggiunge Emily – “ladri” che devono celarsi e muoversi “con dita di vetro”, si diviene irrimediabilmente un po’ stranieri anche a se stessi. Prendendo in prestito il verso della Dickinson, gli spazi di Palazzo Pomarici si aprono quindi a un’intima riflessione sui concetti di casa, appartenenza e sradicamento, in una connessione che accomuna spiritualmente l’esperienza dell’artista alla storia di Matera.

Elyas Alavi, afghano hazara attualmente attivo in Australia, è un artista multidisciplinare che pone al centro della propria ricerca le complesse relazioni tra individuo e società, in rapporto a tematiche come l’appartenenza etnica e culturale, la religione, l’orientamento sessuale, la diaspora e il significato della parola “casa”. Attraverso neon, video e poesia, Elyas utilizza il proprio vissuto come punto di partenza per indagare gli effetti di un allontanamento forzato dal proprio paese e dai propri affetti, osservando lo spaesamento di fronte a una terra che si fa inospitale per chi è costretto all’esilio.

Matera si offre dunque come casa ideale per questa mostra, divenendo parte dell’istallazione.

La stanza, con le sue superfici, diventa mezzo espressivo, il luogo del pensiero per chi legge e per chi ascolta, il luogo degli incontri e della vita, racconta la malinconia della lontananza dalla propria terra, lo spostamento, l’appartenenza.“E il muro in calcarenite, fatto di sedimenti, è memoria viva: non poteva esserci altro luogo del percorso del museo a cui affidare le parole scritte, disegnate e raccontate per immagini da Alavi”racconta Simona Spinella, curatrice del Museo.

Le opere di Alavi si determinano per mezzo di pratiche comunitarie collaborative. Per l’artista, le parole scritte a mano, di una poesia o di un detto, sono il veicolo per dare voce ad una comunità, diventano una dichiarazione che unisce coloro che hanno lasciato il Paese a chi ancora solca il suolo crivellato dell’Afghanistan. Con la propria voce e il proprio corpo,  esprime la propria condizione di rifugiato, artista e migrante Hazara in Australia.

L’inaugurazione si arricchisce di una performance poetico-musicale dell’artista, con il desiderio di proseguire la conversazione sulla pluralità di storie che provengono da questi Paesi.

Alavi decide di accompagnare il visitatore dentro lo spazio espositivo attraverso un viaggio performativo sulla Via della Seta, simbolo di connessione, scambio tra culture diverse, del legame tra l’Italia e l’Afghanistan. Un percorso tra gli spazi del museo in cui Alavi, con il sostegno delle sue poesie e dei suoi gesti, traccerà un nuovo sentiero sulla rotta tra l’Italia e l’estremo Oriente.